(Teleborsa) – Le modalità con cui gli italiani sono entrati nell’emergenza, come la stanno affrontando e gli effetti che questo momento di criticità sanitaria, sociale ed economica produrrà al suo termine. Questi i temi al centro del primo Rapporto Censis-UGL dal titolo “Italiani, lavoro ed economia oltre l’emergenza Covid-19”. Realizzata per il 70esimo anniversario di fondazione dell’Unione Generale del Lavoro, la ricerca è stata presentata oggi, in occasione della Festa dei lavoratori, sul Canale YouTube Ital TV.
“La pandemia ha sconvolto la nostra vita, con conseguenze drammatiche sull’occupazione e con danni gravissimi soprattutto alle Pmi e alle microimprese. Dal primo Rapporto realizzato insieme al Censis – spiega il segretario generale del sindacato UGL Paolo Capone – emerge un pessimismo per il futuro, e occorre essere consapevoli che per vincere questa guerra ognuno dovrà fare al meglio la propria parte, evitando la deriva della disuguaglianza sociale e lo spreco di risorse. Il sindacato che rappresento ha ben saldi questi valori e proprio in occasione del Primo maggio, Festa dei Lavoratori, rinnoviamo il nostro impegno per dare ai cittadini un contributo concreto e propositivo”.
“È la straordinaria capacità di adattamento degli italiani a essere stata decisiva anche nell’emergenza in corso, in cui hanno accettato con grande compostezza limitazioni significative delle principali libertà individuali – sottolinea il presidente del Censis Giuseppe De Rita –. La ripresa certo avrà bisogno di interventi di tipo economico, auspicabilmente per riattivare l’azione delle imprese e dei lavoratori e non per creare nuove dipendenze, e tuttavia potrebbero non bastare se non verrà riconosciuto il ruolo decisivo della società e in essa dei tanti soggetti che ne compongono il paesaggio economico, sociale e territoriale. È la società, non lo Stato, il motore del modello italiano, e dovrà esserlo anche nel prossimo futuro”.
GLI EFFETTI DELLA PANDEMIA COVID-19 – Tra le principali evidenze emerse dal Rapporto vi è, oltre alla preoccupazione per la salute, l’incertezza che avvolge il futuro e il lavoro. Il 57,1% degli italiani risulta pessimista sul proprio avvenire, il 25,5% è ottimista e il 17,4% non ha le idee chiare al riguardo. Sul fronte del lavoro il 50% degli italiani teme di perdere il posto e il 62% è convinto che ci sarà un aumento della disoccupazione in Italia. Timori confermati dai dati diffusi dall’Istat, che indicano come gli inattivi tra i 15 e i 64 anni siano a marzo in forte crescita di 301mila unità, con un tasso di 0,8 punti che lo attesta al 35,7%. Uno scenario caratterizzato anche da un corposo calo del Pil, stimato dall’Istat nel 4,8% in termini tendenziali. Tra le paure degli italiani (il 61,4% dei risparmiatori) anche quella di perdere i propri risparmi, acuita dal diffondersi della pandemia con il 79,3% che si sente meno sicuro rispetto al passato.
CONSEGUENZE DEL LOCKDOWN SU LAVORO E IMPRESE – Per comprendere quali saranno – in un Paese che dovrà far fronte a un crollo di Pil le cui previsioni oscillano tra un -5% e punte del -15% – le conseguenze che subirà il mondo del lavoro a seguito del grande blocco, il Rapporto traccia lo scenario alla vigilia del Covid-19. L’emergenza coronavirus è arrivata al termine di un decennio (2009-2019) segnato da una lenta risalita dopo il tonfo della grande crisi del 2008 e caratterizzato da un aumento dell’occupazione ma con retribuzioni inferiori e orizzonti temporali più ristretti. Se per l’occupazione il decennio post-crisi è stata segnato dal lento tornare ai livelli occupazionali pre-crisi (la variazione percentuale del numero di occupati segna +2,9%, pari a +661.149 unità nel 2009-2019) il mercato del lavoro ha visto la crescita di tempo determinato e part-time con la conseguente diminuzione del potere d’acquisto delle famiglie. I dati relativi al bimestre gennaio-febbraio 2020 (rispetto allo stesso periodo del 2019) non mutano il profilo: occupati stabili (+0,1%), tempo determinato a +1,8%, tempo indeterminato +0,4%. Questa la situazione in cui si è inserito il lockdown con i divieti e le autorizzazioni decise dal Governo sulla base dei Codici Ateco e delle relative autorizzazioni prefettizie. Il 51,5% del totale dei lavoratori riguarda i settori essenziali e il rimanente 48,5% quelli dei settori bloccati pari a circa 7,1 milioni di lavoratori (tra cui giovani, contratti precari, più bassi redditi e microimprese con un solo addetto, a cui vanno aggiunti gli operatori delle varie forme della gig-economy). Il blocco ha colpito più duramente il tessuto delle microimprese, poiché tra quelle con un addetto, ad esempio, afferivano ai settori bloccati ben il 57% del totale delle imprese.
IL PESO DELL’UNIONE EUROPEA – Dal rapporto emerge come, ad aprile 2020, il 70% degli Italiani valuti inadeguata la cooperazione nella Ue in materia di lotta al Coronavirus. Una quota molto più alta rispetto agli altri Paesi (49% in Francia e Germania). Inoltre, sulle priorità che dovrebbero guidare l’azione europea il 48% chiede maggiore cooperazione tra Stati membri e il 45% aiuti finanziari diretti, mentre il 41% punta sull’allentamento delle regole europee di budget per consentire ai Paesi di sostenere l’economia interna. Secondo il Rapporto “i recenti accordi politici nella Ue dovranno, quindi, dare soluzioni concrete perché, se così non fosse, l’attuale risicata maggioranza di favorevoli alla partecipazione italiana alla Ue (il 44% è favorevole, il 42% contrario, il 14% non ha opinione) potrebbe ribaltarsi, visto che ben 8 milioni di attualmente favorevoli dichiarano che cambierebbero idea, unendosi agli attuali contrari”.
LO STATO E LA NUOVA FIDUCIA NEL SINDACATO – Per quasi 9 italiani su 10 (l’88,6%) – rileva la ricerca – lo Stato è considerato una sorta di “comparsa”. Una convinzione più radicata tra le persone con un basso titolo di studio (34,4%), i redditi bassi (32,4%), e i disoccupati (30,9%). In tale contesto, emerge una rinnovata attenzione ad organismi intermedi, come il sindacato, nel quale ha fiducia il 34,9% degli italiani, con percentuali più alte tra laureati (38,3%), operai ed esecutivi (37,3%).