(Teleborsa) – Pesante il tributo pagato dal manifatturiero italiano alla crisi causata dal Covid-19, fortemente colpito dal duplice shock di domanda e offerta, per cui si stima una contrazione del fatturato dell’ordine del 15% (a prezzi costanti). E’ quanto rileva il Rapporto di Analisi dei Settori Industriali di maggio curato dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo e da Prometeia.
In questo contesto, unico settore in controtendenza è la farmaceutica, con una crescita attesa del 4,2%, mentre per gli altri le prospettive sono all’insegna di una flessione, moderata per alimentare e bevande (-4,4%) e largo consumo (-10,1%), più intensa per sistema moda (-18,6%), meccanica (-18,8%), elettrodomestici (-22,1%) e autoveicoli e moto (-25,9%). Buone notizie, però, per l’anno prossimo, quanto è previsto un significativo rimbalzo, con una crescita del fatturato pari al 5,3% (a prezzi costanti). Ampliando l’arco temporale al triennio 2022-2024 l’attività manifatturiera proseguirà lungo un percorso di graduale recupero, a ritmi di poco inferiori al 3% medio annuo. La crisi, secondo il rapporto, avrà impatti sulla redditività manifatturiera ma meno intensi rispetto al 2009.
“L’industria italiana, così come l’intera economia mondiale, sta vivendo una fase di profonda crisi economica. La gestione dell’emergenza può, e deve, essere l’occasione per accelerare i processi di trasformazione, in particolare nell’ambito della sostenibilità ambientale e della digitalizzazione della nostra economia”, ha spiegato Gregorio De Felice, Chief Economist di Intesa Sanpaolo secondo il quale “dopo questa crisi sanitaria, che ha permesso di verificare i vantaggi delle nuove tecnologie (dal controllo non tradizionale delle fabbriche, alle vendite online, allo smart working), occorre accelerare sul fronte della digitalizzazione con uno sforzo congiunto delle imprese, anche quelle di minori dimensioni”.
Per Alessandra Lanza, senior partner di Prometeia, “la crisi internazionale potrebbe accelerare processi di near-shoring, già avviati per alcuni settori, al fine di garantire i cicli di fornitura anche nel caso di nuovi fenomeni epidemici e di contenere i rischi connessi a una produzione frammentata su scala globale. Ciò potrebbe – ha spiegato – da un lato, offrire vantaggi competitivi per il tessuto manifatturiero italiano, con un potenziale guadagno di quote di mercato nei settori attualmente più esposti alla concorrenza dei produttori asiatici. Dall’altro però implicherebbe anche per le imprese italiane pressioni sui margini e la necessità di investire in R&D e in miglioramenti di efficienza”.