(Teleborsa) – Il settore dell’acciaio ha visto fortemente ridotta la produzione in Italia, dove gli impianti siderurgici sono stati in buona parte fermati a causa dell’emergenza Covid-19, mentre in Paesi come Germania, Francia e Spagna si è continuato a produrre. Un quadro di sofferenza, che emerge dai dati dei mesi di marzo (-40% rispetto al 2019) e proseguito nel mese di aprile, denunciato da Federacciai, la Federazione delle Imprese Siderurgiche Italiane che fa parte di Confindustria. Federacciai rappresenta oltre 130 aziende associate con più di 70.000 addetti tra diretti e indiretti, che realizzano e trasformano oltre il 95% della produzione italiana di acciaio, facendo dell’Italia il secondo mercato per produzione e consumo dopo la Germania della lega ferrosa dalle molteplici tipologie, ciascuna relativa a diverse esigenze progettuali e di mercato.
Per analizzare la “delicata” situazione che sta vivendo il settore siderurgico, Teleborsa ha intervistato l’ingegnere Flavio Bregant, Direttore generale in Federacciai. Bregant, 60 anni, di Bergamo, riveste la carica dal 2008 dopo essere stato Direttore tecnico della Federazione, dove è entrato nel 1991, con responsabilità sulle aree energia, ambiente, materie prime e trasporti.
Ingegnere, l’emergenza sanitaria provocata dalla pandemia di coronavirus ha avuto i suoi effetti sulla produzione italiana di acciaio. In che termini si è manifestata?
“Si è manifestata come tutte le altre filiere, ovverossia con una riduzione di produzione e un fermo prolungato di molte aziende”.
Delle due principali categorie di prodotti siderurgici, ad avere sofferto di più sono i cosiddetti “lunghi” (tubi, travi rotaie). A cosa si deve questo maggiore trend negativo rispetto ai prodotti “piani” (lamiere dei più diversi tipi e dimensioni)?
“In realtà si tratta di una lettura un po’ errata dei dati di produzione. Questi dati derivano dalla lettura sbagliata dei codici Ateco (combinazione alfanumerica che identifica una ATtività ECOnomica, n.d.r.) delle varie deroghe, che hanno consentito ad alcune aziende di andare avanti e ad altre di essere fermate. Il tema vero è che sia i lunghi che i piani soffrono assolutamente i danni della chiusura della filiera produttiva a valle, ossia i settori che recuperano e utilizzano l’acciaio. In forte riduzione sono i settori dell’auto, delle costruzioni e della meccanica, che impiegano sia prodotti i piani che lunghi”.
Durante il lockdown, Paesi come Francia, Germania e Spagna hanno continuato a produrre. Quanto inciderà questo gap rispetto ai tempi e alle prospettive di ripresa?
“Questo sicuramente è stato penalizzante e ha consentito all’Europa di andare a diverse velocità e di redistribuire il mercato. Tuttavia, oggi quello che può influire molto di più sono le diverse condizioni di vantaggio che gli Stati europei fanno alle loro aziende, ovvero prestiti garantiti dallo Stato e velocità di risposta, ma anche il problema della produzione dei mercati internazionali. La Cina, che è il maggiore produttore di acciaio al mondo, nonostante il lockdown nel primo trimestre ha incrementato la produzione. La stesso la Turchia, e quindi appena c’è la ripartenza di tutta la filiera produttiva in Europa è chiaro che questi Paesi interverranno anche con condizioni non di mercato. È importante difendere il mercato europeo e quello italiano in particolare dalla concorrenza sleale fatto da questi Paesi”.