(Teleborsa) – Una media di impegni di spesa circa del 54% e di pagamenti sotto il 27% rischiano di far mancare l’uso totale dei fondi UE messi a disposizione dell’Italia entro la fine del 2020.
È l’allarme lanciato dalla Corte dei Conti nella “Relazione annuale 2019 – I rapporti finanziari con l’Unione europea e l’utilizzazione dei fondi comunitari”, relativa all’anno 2018 che analizza i flussi finanziari in entrata e in uscita e le tipologie di risorse che hanno alimentato il bilancio europeo, valuta l’utilizzo dei fondi e analizzare i Programmi operativi regionali e nazionali.
“Con una percentuale media di impegni pari a poco più del 54% e di pagamenti al di sotto del 27%, si registra una significativa accelerazione, anche se, quasi al termine del sesto anno del periodo esaminato (riferito alla programmazione 2014-2020). Potrebbe quindi esserci il rischio di non riuscire ad assumere tutti gli impegni entro la fine del 2020, ultimo termine utile per bloccare, dopo aver selezionato i progetti, tutti i fondi disponibili per il nostro Paese”, si legge nella relazione.
L’ammontare delle procedure attivate, nell’ambito dei Programmi FESR e FSE 2014-2020 (con esclusione dei programmi CTE), al 30 giugno 2019, è di 45,64 miliardi, pari all’83,78% delle risorse totali programmate. Con riferimento ai PON, l’ammontare delle procedure attivate al 30 giugno 2019 è invece di 13,53 miliardi, pari al 76,14% delle risorse programmate, tutte in incremento rispetto al 2018.
“Perché i programmi vengano realizzati – avverte la magistratura contabile – è, tuttavia, necessario, che all’attivazione seguano le fasi dell’impegno e del pagamento“.
La Corte osserva, inoltre, che “permane, generalmente, la differenza, in termini di effettività della capacità di spesa, tra le regioni più sviluppate e quelle meno sviluppate, nel senso che le prime spendono meglio e più delle seconde. La (paradossale) conseguenza di ciò è che decenni di politiche di coesione non sembrano avere sortito, in Italia, gli effetti per i quali esse sono state ideate, cioè ridurre il divario tra le aree più sviluppate e quelle meno sviluppate“.
L’analisi dei flussi finanziari intercorsi tra l’Italia e l’Unione europea per il 2018 ha confermato inoltre la tradizionale posizione di contributore netto: l’Italia ha versato all’UE, a titolo di risorse proprie, 17 miliardi (+23,1% rispetto all’anno precedente), mentre l’Unione ha accreditato complessivamente al nostro Paese 10,1 miliardi.
Il “saldo netto negativo” si accentua quindi sensibilmente e ciò accade nonostante si registri un aumento sensibile degli accrediti (+6,5%) rispetto al precedente esercizio, in cui l’importo delle assegnazioni era pari a 9,5 miliardi in termini assoluti.
In tema di frodi e irregolarità in materia di risorse proprie, secondo i dati prodotti dalla Commissione europea, l’Italia si colloca in nona posizione per numero di irregolarità segnalate (104 segnalazioni; erano 145 nel 2017) e in settima posizione per quanto attiene agli importi comunicati, con circa 9,8 milioni di euro di irregolarità totali registrate a sistema, che rappresentano lo 0,43% del totale delle risorse proprie tradizionali versate al bilancio UE (in miglioramento rispetto al 2017, anno in cui lo stesso indice era pari allo 0,57%).
Tra le aree più significative in termini di irregolarità e frodi, si segnala il settore degli appalti, con prevalenza dei fenomeni di violazione della normativa.
Infine, nonostante le misure adottate per contrastarne l’evasione, il gap dell’IVA è ancora molto elevato (33,6 miliardi in valore assoluto), benché in diminuzione (dal 26,6% al 23,8% del gettito potenziale), a fronte di una media europea attestata comunque su valori molto più contenuti (11%)
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