Procedere immediatamente con l’iter della riforma costituzionale che taglia il numero di parlamentari: è questa la richiesta principale fatta dal M5s al Pd per far nascere un nuovo Governo.
Tuttavia, se da un lato i Dem hanno a più riprese fatto sapere di essere favorevoli alla misura, dall’altro hanno informato che essa deve essere rivista e inserita in un contesto più ampio, che preveda anche la modifica della legge elettorale vigente.
Una differenza di vedute rispetto al M5s che rischia di far incagliare le trattative e, di conseguenza, di non far partire l’esecutivo a tinte giallo-rosse.
Ora, è opportuno entrare nel merito della riforma e capire quali potrebbero essere i vantaggi effettivi (sopratutto in termini monetari). Innanzitutto, partiamo dal focus sul risparmio per le casse statali: l’Osservatorio sui conti pubblici guidato da Carlo Cottarelli ha reso noto che lo stato, tagliando i parlamentari, diminuirebbe la spesa di 57 milioni di euro all’anno.
In termini assoluti, una cifra sostanziosa, ma meno sostanziosa se si guarda al bilancio italiano: 57 milioni significa lo 0,007 % della spesa pubblica. Si comprende in fretta che il beneficio economico che ne trarrebbe lo stato dalla riforma avrebbe un peso molto ‘leggero’ sui conti, a differenza di quanto pensi una parte dell’opinione pubblica.
Sempre rimanendo in tema, un altro nodo da sciogliere è quello che lega il taglio dei parlamentari alla legge elettorale, su cui il Pd vorrebbe lavorare in un altro modo rispetto al M5s che vuole eliminare 230 deputati e 115 senatori (attualmente ci sono 630 deputati e 320 senatori, di cui 6 a vita)
La legge elettorale in vigore è un misto di proporzionale (61% dei seggi con soglie di sbarramento al 3%) e maggioritario (37% dei seggi a turno unico, il cosiddetto uninominale secco). Il restante 2% riguarda i seggi, assegnati con il proporzionale, in riferimento al voto degli italiani residenti all’estero.
I seggi inerenti al Senato sono ripartiti soltanto su base regionale. Dunque il taglio dei parlamentari, in quelle regioni dove la popolazione è più esigua e ci sono meno seggi, ridurrebbe la rappresentanza parlamentare. Non cambierebbe nulla per Valle d’Aosta e Molise che nominerebbero rispettivamente uno e due senatori, ma cambierebbe per quelle regioni che a oggi eleggono sette senatori e, con l’eventuale riforma applicata, soltanto tre.
Naturalmente verrebbero eletti solo coloro che fanno parte dei partiti maggiori e, dunque, verrebbe in parte meno la rappresentanza delle forze politiche minori, che non troverebbero più spazio.
Ecco perché il Pd frena sulla proposta di taglio dei parlamentari del M5s così come è presentata oggi. I Dem, infatti, sostengono di volere diminuire deputati e senatori, a patto che sia pensata una nuova formula elettorale, la quale, a sua volta, sarà alla base della composizione del ‘puzzle’ del futuro Parlamento. Un ‘puzzle’ che può risultare più o meno rappresentativo del Paese reale a seconda del sistema elettorale che viene promosso.