Cosa sono i minibot? E come funzionano? Questa la domanda che in molti, sopratutto in questi giorni, si stanno facendo.
Adesso che questi mini buoni del tesoro sono al centro del dibattito politico tutti vogliono saperne di più. Se ne è parlato tanto negli ultimi tempi e, molto probabilmente, se ne continuerà a discutere ancora per un po’.
L’idea dei minibot è stata avanzata dal deputato leghista Claudio Borghi che, sostanzialmente, ha proposto al Governo di ricorrere a questi titoli di piccolo taglio per poter pagare i debiti che l’amministrazione pubblica ha accumulato negli anni nei confronti delle imprese.
Per capire meglio cosa sono i minibot dobbiamo rifarci alla definizione di BOT (buoni ordinari del tesoro). Questi, come i ben informati sapranno, non sono altro che titoli del debito pubblico italiano, e chi li acquista non fa altro che “comprare” una parte del debito statale. Funzionano, come è facile intuire, come un vero è proprio prestito. Gli acquirenti dei BOT, di fatto, prestano dei soldi allo Stato che, a sua volta, dovrà restituirli con tasso di interesse inferiore e in un periodo di tempo preciso (solitamente questi titoli hanno una durata breve di 3, 6 o 12 mesi) .
I minibot, proprio come i BOT, sono buoni del tesoro ma di piccolo taglio e, in quanto tali, servono anch’essi per pagare i debiti. A proporne l’introduzione, come anticipato sopra, è stato un esponente della Lega ma, in realtà, della loro entrata in vigore se ne era parlato già prima delle elezioni politiche 2018.
Nel programma elettorale di Salvini Premier, nello specifico, i minibot sono stati presentati come dei mini titoli del tesoro destinati a soddisfare tutti quegli imprenditori che, dopo aver investito in titoli di stato, vantano oggi un credito nei confronti dell’amministrazione pubblica.
Come il nome stesso suggerisce, e come già anticipato sopra, i minibot hanno un taglio più piccolo rispetto ai “tradizionali” titoli di stato. Mentre i buoni del tesoro, infatti, hanno un valore minimo di 1.000 euro, i minibot possono essere emessi in tagli da 5, 10, 20, 50 e 100 euro.
Ciò che differenzia i minibot dai BOT, inoltre, è che i primi:
- non hanno una scadenza;
- non garantiscono interessi ai possessori;
- non sono obbligatori e, pertanto, lo Stato non sarebbe costretto ad emetterli periodicamente come invece accade con i buoni del tesoro;
- si possono usare solamente per coprire determinate somme, i pagamenti per debiti superiori ai 25mila euro infatti non saranno possibili;
- e sono cartacei (e non digitali).
Presentati come la soluzione alternativa per rilanciare l’economia delle aziende in crisi e le sorti dei piccoli imprenditori in difficoltà, i minibot permetterebbero agli imprenditori di riavere indietro i soldi di cui lo stato è debitore.
Le critiche avanzate dai più scettici, tuttavia, riguardano proprio il meccanismo di utilizzo di questi buoni del tesoro. È vero, infatti, che i minibot avranno un valore preciso e permetteranno alla pubblica amministrazione di erogare denaro sotto forma di titoli ma, come molti hanno fatto notare, con questi soldi non sarà possibile pagare molte determinate spese, essenziali per il funzionamento di un’azienda. Con i minibot, per esempio, un imprenditore (che sia in difficoltà o meno) non potrà pagare i propri fornitori, né potrà convertirli in denaro da usare per retribuire i propri dipendenti.
Questi mini buoni del tesoro, qualora venissero introdotti, potranno essere usati per pagare i debiti di imposta (e quindi saranno fatti valere come una sorta di credito che il contribuente vanta nei confronti dell’amministrazione pubblica). Questa situazione, come hanno sottolineato alcuni, potrebbe avere un effetto negativo non indifferente sulle casse dello Stato. L’Erario, così facendo, non incasserebbe più moneta contante e, di conseguenza, il debito pubblico aumenterebbe ulteriormente.
Per questo motivo, proprio in un intervento recente, il ministro dell’economia Giovanni Tria si è detto contrario all’introduzione dei minibot. “Come economista non sono d’accordo con questa idea – ha dichiarato al Financial Times – Da ministro tutto quello che posso dire è che non abbiamo bisogno di questo strumento”.