(Teleborsa) – Chi lavora a scuola guadagna poco. Lo conferma l’Agenzia di rappresentanza dell’amministrazione pubblica (Aran), che è andata a quantificare i compensi del personale scolastico fino all’anno 2017, assieme alle elaborazioni statistiche sulle retribuzioni medie del personale della Pubblica Amministrazione per tipologia di personale. I numeri, ripresi dalla rivista Orizzonte Scuola, frutto dell’elaborazione dei dati della Ragioneria generale dello Stato, confermano che i docenti sono il fanalino di coda della pubblica amministrazione: il compenso annuo è pari a soli 29.629 euro lordi, con gli insegnanti a tempo indeterminato appena sopra di quasi 300 euro, i colleghi precari fermi a 27.173 euro; si elevano un po’ i docenti di religione, il cui guadagno medio annuo arriva a 32.321 euro (sempre lordi).
Ancor meno dei docenti guadagna il personale ATA, per il quale la Ragioneria generale dello Stato propone un unico dato stipendiale di categoria: lo stipendio medio annuale è di 22.154 euro, anche questi lordi. Una cifra che, al netto, per un collaboratore scolastico neo assunto si trasforma in mille euro al mese e che per gli amministrativi a fine carriera arriva a malapena a 1.400 euro. Sono stipendi che si commentano da soli, talmente bassi, che al di sotto non vengono riscontrati in nessun’altra categoria dell’amministrazione dello Stato.
Secondo Marcello Pacifico, presidente Anief, “nel computo della Ragioneria dello Stato, mancano gli aumenti-mancia del 3,48% del Governo Gentiloni, arrivati dopo quasi dieci anni di blocco, più l’indennità di vacanza contrattuale, di poco superiore allo 0,5%, introdotta da aprile dalla maggioranza giallo-verde per la scadenza di quel contratto. Tuttavia, si tratta di incrementi, che mediamente si attestavano a 85 euro lordi mensili, e che non hanno nemmeno messo nel mirino l’inflazione degli ultimi dieci anni, salita di circa il 14%, di cui 8 punti accumulati tra il 2007 e il 2015. Ecco perché agiamo su due fronti, sia su quello giudiziario nazionale sia su quello europeo, e non ci rassegniamo a soccombere”.