(Teleborsa) – La decisione era da tempo nell’aria, ma rappresenta comunque una sorpresa. Almeno in un momento della vita politica italiana delicato come non mai. Matteo Renzi saluta e lascia il PD pur assicurando il proprio appoggio al Governo. Lo ha annunciato al Premier Conte con una telefonata spiegando al Premier l’intenzione di creare gruppi autonomi. Telefonate anche alla Presidente del Senato Elisabetta Alberti Casellati e a quello della Camera Roberto Fico per informarli della decisione spiegata in una intervista pubblicata sul quotidiano “La Repubblica” nell’edizione di oggi martedì 17 settembre.
Con Matteo Renzi usciranno dal Partito Democratico una trentina di parlamentari. A quanto sembra una ventina di deputati e circa dieci senatori che daranno vita appunto a gruppi autonomi. Tutti però, almeno a detta dell’ex Premier, ex Segretario del Partito, ex Sindaco di Firenze e prima ancora Presidente della Provincia del capoluogo toscano, continueranno a far parte della maggioranza e a sostenere in Parlamento il cosiddetto Governo giallo-rosso appena nato, si può dire “a sorpresa”, sulle ceneri dell’esecutivo giallo-verde e solo da poche ore nella pienezza delle sue funzioni dopo il giuramento dei 42 sottosegretari.
Non tutti gli “storici renziani” dovrebbero tuttavia seguire il 44enne ma già ultra navigato leader in quella scissione che da tempo covava sotto le ceneri, a partire dal gruppo guidato dal neo Ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, e da Luca Lotti, ex Ministro dello Sport finito nel mirino della magistratura perché al centro di spinose vicende legate al caso del giudice Palamara.
Inevitabile che l’annuncio della “scissione responsabile” abbia provocato uno scossone di violenta intensità nelle fila del Partito Democratico. Deputati e Senatori stanno vivendo ore di riunioni e conciliaboli all’insegna di reciproche accuse, polemiche e non poche preoccupazioni, con discussioni infuocate in particolare sulla chat del Ministro della Cultura Dario Franceschini che non si stanca di ammonire a “non ripetere gli errori della Storia”.
“Nel 1921-22 il fascismo cresceva sempre più – ricorda Franceschini – utilizzando rabbia e paure. Popolari, socialisti, liberali avevano la maggioranza in Parlamento e fecero nascere i governi Bonomi, poi Facta 1 poi Facta 2. La litigiosità e le divisioni dentro i partiti li resero deboli sino a far trionfare Mussolini nell’ottobre 1922. La Storia dovrebbe insegnarci a non ripetere gli errori”.