(Teleborsa) – La ‘ndrangheta è una delle piaghe più profonde del nostro Paese: affonda le sue radici in Calabria, ma negli anni ha allargato i suoi tentacoli in più parti del territorio nazionale e mondiale. Basti pensare, ad esempio, che è l’unica associazione criminale di stampo mafioso presente in tutti e 5 i continenti. Un record – che si poggia su numero di affiliati, economia attiva, capacità d’azione e dominio territoriale – di cui non andare di certo fieri che però restituisce piuttosto bene l’immagine della sua potenza d’espansione e capacità di infiltrarsi nel tessuto della società, a più livelli.
Stiamo parlando, in generale, di un sistema, purtroppo, collaudato e ben strutturato tanto che, se prima si parlava di “infiltrazioni” al Nord della criminalità organizzata, oggi si può parlare, a ragione, di vera e propria “presenza” radicata e pericolosa che incide negativamente anche sul mondo del lavoro, rallentando, nel lungo periodo, lo sviluppo delle zone che finiscono sotto il suo controllo capillare.
I territori “inquinati” dalla ‘ndrangheta nel Centro e nel Nord Italia hanno, infatti, subìto una costante perdita di occupazione dovuta proprio alla penetrazione criminale nell’imprenditoria. Dal 1971 al 2011 le aree geografiche sotto la morsa delle consorterie hanno perso il 28% di occupazione. È quanto emerge dal working paper Gli effetti reali della ‘ndrangheta sull’economia reale: evidenze a livello d’impresa, dei ricercatori di Bankitalia Litterio Mirenda, Sauro Mocetti e Lucia Rizzica.