(Teleborsa) – Christine Lagarde è pronta a prendere il posto di Mario Draghi che ha guidato la BCE dal 2011. Otto anni decisivi per l’economia dell’Europa e dell’Italia durante i quali l’italiano ha innovato la politica monetaria, districandosi tra le spesso diverse istanze del board BCE, diviso tra falchi e colombe.
L’UOMO DEL “WHATEVER IT TAKES” – Era il 26 luglio 2012 quando durante un suo intervento alla Global Investment Conference a Londra, davanti a una platea di investitori e dirigenti d’azienda. pronunciò una frase che divenne un simbolo e fu immediatamente presa a emblema: “whatever it takes to preserve the euro. And believe me, it will be enough”. La Bce è pronta a fare “whatever it takes”, qualunque cosa serva – disse appunto Draghi in quell’occasione – per preservare l’euro. E credetemi, sarà abbastanza”. Una frase che passò alla storia salvando anche l’Italia da un’asfissia finanziaria che nell’estate 2012 era ad un passo.
Suoi i provvedimenti più incisivi: il Piano di Rifinanziamento a lungo termine (LTRO), studiato per sostenere la liquidità delle banche in un periodo caratterizzato da sofferenze e credit crunch, il taglio dei tassi d’interesse fino a portarli in negativo, per sostenere con lo strumento più tradizionale una politica ultra accomodante, lo sblocco del Meccanismo europeo di stabilità (ESM), meglio noto come Fondo salva-Stati, studiato per porre rimedio a crisi debitorie dei Paesi del Blocco. E l’ormai famoso Quantitative easing, attraverso il quale l’Eurotower riacquista i titoli di Stato in pancia alle banche immettendo liquidità da destinare al finanziamento di famiglie e imprese per dare ossigeno all’economia reale.
Intanto, in molti iniziano a chiedersi cosa succederà ai mutui con l’avvento della francese al timone della Banca Centrale Europea.
Dal 1° novembre 2019, data di inizio del mandato, partirà infatti il nuovo piano di acquisto asset (QE) da parte della Bce, annunciato lo scorso settembre. Una versione ridotta di quello precedente che consisterà in un investimento mensile di 20 miliardi in titoli di Stato dei Paesi dell’area Euro. Un sostegno che durerà “fin quando necessario, per rafforzare l’impatto accomodante dei tassi” – aveva spiegato in quell’occasione Draghi – e concludersi “poco prima” che l’istituzione inizi ad alzare i tassi.
Uno scenario che interesserà anche i tassi legati ai mutui, Euribor in testa che chiama in causa i titolari di un prestito a tasso variabile. Occorre precisare però che allo stato attuale, però, un rialzo dei dei tassi è da considerarsi uno scenario non immediato. In una prospettiva di lungo raggio però ci sarà da fare i conti con la posizione di quanti – all’interno del Board – hanno mostrato i primi segnali di insofferenza nei confronti di una politica di tassi bassi a tempo indefinito. Tradotto: prima o poi la “bonaccia” finirà.
Intanto, nell’ultimo mese, gli indici Euribor, che come detto interessano i mutui a tasso variabile, sono rimasti stabili nelle scadenze a 1 mese, 3 mesi e 6 mesi. Discorso diverso invece per i tassi Eurirs, riferimento per i mutui a tasso fisso che hanno segnato un rialzo di circa 0,30 punti base rispetto allo scorso agosto, quando avevano toccato il minimo storico.
Lo scettro è pronto a passare nelle mani di Christine Lagarde, chiamata ad affrontare nuove sfide, facendo i conti con una fase di rallentamento dell’eurozona.